Per Socrate prima di iniziare la ricerca bisogna riconoscere la propria ignoranza. Socrate dice che il vero sapiente (saggio) è quello che sa di non sapere. Che vuol dire “sapere di non sapere”? Vuol dire che sulla natura non si può dire niente con sicurezza mentre sull’uomo bisogna sempre ricercare. Se io so di non sapere allora faccio di tutto per imparare e sapere.
Socrate racconta di aver capito che ogni uomo trasforma la propria verità in una verità assoluta, quello che era vero per una persona doveva essere vero per tutti.
Quando Socrate comincia a parlare con gli altri cerca prima di tutto di mostrare che sono ignoranti. Per fare questo usa l’ironia, cioè i giochi di parole e le finzioni.
Socrate prima comincia facendo i complimenti all’altra persona per le sue idee, poi però comincia a fargli tante domande facendogli venire molti dubbi e dimostrando che le risposte che l’altra persona dà sono false. In questo modo l’altra persona prova rabbia e vergogna.
Socrate studiando le persone scopre che tutte le persone sono ignoranti ma pensano di essere colti (cioè con una grande cultura).
Socrate capisce che la differenza tra lui e gli ateniesi è che lui è ignorante e lo sa mentre gli altri sono ignoranti e non lo sanno. Quindi si parla di “dotta ignoranza”.
Nella Repubblica (altra opera di Platone) vediamo ad esempio un dialogo tra Socrate e un mercante di nome Cefalo. Socrate chiede “che vuol dire essere giusti?” e il mercante risponde “vuol dire restituire il dovuto”. Cefalo è un mercante e crede che comportarsi bene vuol dire che se ti do 10 soldi devi darmi una cosa che vale 10 e poi però generalizza, cioè pensa che questo principio vale sempre.
Allora Socrate chiede “se un mio amico mi presta delle armi, e poi impazzisce, io devo ridargliele o no? Se gli restituisco le armi quello può fare male a qualcuno o a se stesso”. Socrate dimostra che l’idea di giustizia di Cefalo vale solo in alcune situazioni, non vale sempre.
Socrate usa un metodo elenchetico, cioè fa l’elenco delle situazioni in cui la definizione non funziona.
Socrate non vuole insegnare qualcosa ma solo tirare fuori il ragionamento dagli altri. Socrate cerca di far “partorire” le idee dagli altri, così come sua madre aiutava le donne a partorire. L’arte di far partorire si chiama maieutica, quindi possiamo dire che Socrate usa la “maieutica” per portare le persone a tirar fuori dei ragionamenti.
La verità è una conquista personale, che ognuno fa per sé. La verità è un’avventura della mente.
L’educazione migliore è l’auto-educazione, cioè l’educazione che uno fa su se stesso.
Socrate nel suo dialogo con l’altra persona chiede sempre “che cos’è….?”, cioè chiede sempre definizioni. Un uomo parla di giustizia? Socrate chiede “e che cos’è la giustizia?” Un uomo parla di “bene”? E Socrate chiede “e che cos’è il bene?”.
Socrate non fa mai lunghi discorsi (chiamati in greco “macrologie”) ma sempre discorsi brevi, piccole frasi, battute (chiamati in greco brachilogie). Questo dialogo rapido demolisce (distrugge) l’altra persona. Quindi possiamo vedere i due aspetti del dialogo di Socrate:
– l’aspetto negativo: Socrate distrugge le idee dell’altra persona dimostrando che sono false o non esatte;
– l’aspetto positivo: Socrate spinge l’altra persona a pensare e ad arrivare a idee giuste.