Dieci incontri per apprendere una nuova arte
Libera sintesi dal Libro di Marianella Sclavi
Arte di ascoltare e mondi possibili: come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Pescara, Le vespe, 2000 (ristampato nel 2003 da Bruno Mondadori)
libera sintesi
01 – Il limite culturale
Il significato dei termini: ascolto attivo, limite culturale.
ASCOLTO ATTIVO
Cosa significa ascolto attivo?
Una storiella ve lo può spiegare:
Il giudice ascolta il primo litigante con grande concentrazione e attenzione e “Hai ragione “ gli dice. Poi ascolta il secondo e “Hai ragione” dice anche a lui. Si alza uno del pubblico.
“Eccellenza, non possono avere ragione entrambi. Il giudice ci pensa sopra un attimo e poi, serafico: “Hai ragione anche tu”
Insomma saper ascoltare significa comprendere le ragioni di tutti, prima ancora di trovare una soluzione al conflitto.
La comprensione delle situazioni è una dote innata o si impara con l’esperienza?
Questa comprensione dei vari punti di vista è un atteggiamento che generalmente si impara con l’esperienza. Ma spesso, o quasi sempre non siamo consapevoli dei meccanismi che mettiamo in atto in questo apprendimento.
Come possiamo renderci consapevoli di quali meccanismi mettiamo in atto in questa esperienza?
Il “come” è proprio il tema che tratteremo in queste riunioni.
Questo ci permette di applicarli con consapevolezza e competenza in tutte le occasioni in cui l’ascolto attivo è necessario.
Quindi il nostro fine è rendere consapevole l’apprendimento: imparare ad imparare, in una parola: il deuteroapprendimento (termine usato dal testo della Sclavi).
Nella nostra cultura il deuteroapprendimento viene considerato “abilità innata”, “intuito” “empatia” “speciale sensibilità” “talento”, perché chi lo applica non è consapevole di “come ha fatto” ad applicarlo.
In realtà, secondo la Sclavi, è possibile imparare ad applicarlo “consapevolmente”, quindi può essere imparato da tutti e usato non istintivamente.
Ma per applicare l’ascolto attivo spesso bisogna liberarci delle proprie cornici culturali.
LIMITI CULTURALI
Cosa sono i “limiti culturali”?
Lo capiremo meglio attraverso un esercizio.
Questo specifico esercizio consiste inizialmente in un gioco abbastanza noto, di quelli che si fanno dopo cena per passare il tempo e mettere alla prova la nostra mente e forse alcuni di voi sanno già la soluzione.
Però il problema non è se si sa o no la soluzione, è riflettere sul percorso emozionale e logico, che si compie nel trovare la soluzione.
E’ questo che a noi interessa e che sicuramente nei giochi di società certamente non viene considerato. Se conoscete la soluzione state zitti, dite pure che la conoscete già, e aspettate la seconda fase, se invece non la sapete sappiate che solitamente solo il 2% delle persone riesce a trovarla.
Comprendere perchè si sbaglia è comprendere il significato di cornice culturale.
Ecco le istruzioni.
Su un foglio di carta disegnate per almeno tre volte nove punti disposti come nella figura sotto. Provare ora ad unire questi nove punti con quattro segmenti senza sollevare la matita dal foglio: dove finisce un segmento deve iniziare l’altro.
Disegnate tre possibili percorsi che vi vengono in mente per trovare la soluzione. Fatelo anche se vi rendete conto che quei percorsi non risolvono il problema e vi sembrano inutili. Avremo così modo di riflettere sul perchè la soluzione non è stata trovata, oppure eccezionalmente trovata.
Tempo: solo cinque minuti.
Figura 1. Il disegno dei nove punti, riprodotti tre volte.
Sono trascorsi i cinque minuti.
Congratulazioni se avete trovato la soluzione.
Vediamo perchè quasi tutti non la trovano
Tentativi falliti:
[disegnarne tre]
Aggiungiamo accanto la soluzione.
Chi ha risolto il problema, cosa ha fatto di diverso? Vari commenti: “E uscito fuori…” “È uscito dal limite”.
Quale limite? Riflettiamo: “Il contorno dei punti.”
I vari tentativi falliti sono percorsi diversi, ognuno è un cambiamento, una correzione, rispetto al precedente. Però tutti hanno in comune il muoversi entro un campo di possibilità che ha dei confini precisi. Si è agito come se fosse insensato o proibito o irrazionale “uscire dal quadrato”. Forse non è neppure passato per la mente di farlo, anche se le istruzioni non prescrivevano: “Non uscite dal quadrato” e neppure “Guardate questi punti come un quadrato”. Chi ha cercato la soluzione, non ha pensato “Non devo uscire dal quadrato”, l’ha dato per scontato. Questa è una premessa implicita, ossia UN LIMITE o CORNICE CULTURALE Le premesse implicite si ricavano chiedendosi: come strutturavo inconsciamente, senza esserne consapevole, il campo (cioè, quali regole mi davo) perché questi comportamenti, mi siano apparsi ovvi, scontati, logici? I cambiamenti entro il quadrato ossia i vari tentativi falliti li chiamo “C 1”, il cambiamento oltre al quadrato che porta alla soluzione lo chiamo “C2“.
Ci sono infatti cambiamenti entro un campo (= sistema di regole), entro una cornice, e cambiamenti di campo, della cornice. I primi li chiamiamo Cambiamenti 1, ì secondi Cambiamenti 2.
Un Cambiamento 1 non opera allo stesso livello logico del Cambiamento 2, che è un cambiamento delle premesse implicite che regolano i cambiamenti di ordine inferiore.
Chi ha risolto il problema non si è limitato a cambiare percorso, ha cambiato le premesse.
Ha messo in discussione qualcosa dì cui non era consapevole, che dava per scontato.
E un’esperienza strana, che noi vogliamo studiare.
Questo vale per qualsiasi processo conoscitivo e di apprendimento. Possiamo imparare “nuove cose”, acquisire nuove informazioni, avere diversi punti di vista dentro un più generale modo di inquadrare le cose (entro una certa cornice o campo o matrice percettivo-valutatìva; tutti termini quasi sinonimi) oppure possiamo cambiare quel modo di inquadrarle.
In tutti i casi in cuì non è necessario mettere in discussione le premesse implicite va bene il primo processo, in tutti quelli in cui tentiamo e tentiamo e tentiamo e continuiamo a sbattere la testa contro un muro, dovrebbe nascerci il dubbio: forse devo cambiare le premesse.
La difficoltà è che non sappiamo quali sono queste premesse e lo sapremo solo dopo che abbiamo trovato la “soluzione”!
Muoversi dentro una cornice o cambiare la cornice sono due processi assolutamente differenti, comportano due diversi modi di rapportarsi a se stessi e al mondo.
Imparare l’arte di ascoltare/osservare (A/O) vuol dire impratichirsi, familiarizzarsi con questi due diversi modi di rapportarsi a se stessi e al mondo e in particolare con cosa succede quando si passa dall’uno all’altro, dal Cambiamento, al Cambiamento2. Imparare l’arte di A/O e imparare a “vedere fenomenologicamente” ,ossia senza pregiudizi critici, sono la stessa cosa.
La Gestalt
6. Quando in questa sede parliamo dì “premesse implicite” dunque ci riferiamo alla strutturazione dì un campo, a un processo gestaltico, a una Gestalt (si pronuncia ghestalt). “Gestalt” in tedesco significa “forma, formare”.
La psicologia della Gestalt ha mostrato che qualsiasi processo conoscitivo, qualsiasi attribuzione di senso comporta una strutturazione di campo, mettere in prospettiva, dare un ordine di valore, un decidere cosa viene messo a fuoco, portato in primo piano, e cosa lasciato sullo sfondo. Una struttura è qualcosa in più della somma delle sue parti, ed è quel qualcosa in più, la relazione tra le singole parti, che forma il campo gestaltico.
Nella scienza queste relazioni vengono studiate sperimentalmente, nella psicologia esistono, ma il loro studio solo ora sta diventando sperimentale. Ed è un pò quel che ci si richiede di fare in un ascolto attivo. Il nostro modo di vedere è un campo gestaltico, che definisce la nostra identità.
La strutturazione comporta la definizione di un ventaglio di possibilità entro il quale ci è consentito muoverci e uscendo dal quale quella Gestalt verrebbe messa in discussione.
La psicologia della Gestalt ha anche mostrato che, per così dire, “le Gèstalts difendono”.
Ogni volta che tendiamo a ignorare i confini del campo gestaltico avvertiamo delle precise resistenze, quel movimento trasgressivo ci appare insensato. Avventurarsi ai confini del campo gestaltico corrisponde a mettere a fuoco elementi che erano consegnati allo sfondo.
La Gestalt “si difende” in quanto questo movimento la smentirebbe, la dissolverebbe.
E un movimento che prefigura un Cambiamento 2.
“La Gestalt si difende” è ovviamente un’espressione metaforica, c’è di mezzo l’intreccio fra dinamiche della conoscenza, dell’appartenenza e dell’identità.
Gestalt, identità ed emozione
Questo ha delle implicazioni molto importanti sul valore conoscitivo delle emozioni, implicazioni che non vengono quasi mai sottolineate. Ritorneremo in continuazione su questo punto,
qui ci interessa incominciare a mettere a fuoco le emozioni relative alle sensazioni di “insensatezza”.
Mentre tentiamo di collegare tutti e nove i punti l’eventualità di “uscire dal quadrato” provoca ansia, è come se ci mancasse il terreno sotto i piedi. Questa ansia possiamo interpretarla come un avvertimento che muoversi in quella direzione è pericoloso e/o inutile e/o ridicolo.
“Ci renderemmo solo ridicoli.” Per placare l’ansia ci affrettiamo a cercarle una giustificazione, per esempio: “Se esco dal quadrato è come se aggiungessi altri punti, già è difficile collegarne nove, immaginiamoci dieci o undici!”. Adesso siamo più tranquilli, quel comportamento che cì provocava ansia era per davvero insensato, irrazionale. Probabilmente dopo un po’ decideremo che a noi non interessa tanto collegare tutti e nove i punti, otto bastano e volgiamo l’attenzione a quale punto è meglio lasciare scoperto. Quello al centro o quello in alto a destra?
Una gran parte delle faccende umane vengono affrontate e risolte proprio in questo modo. Spesso va benissimo così, non sempre è decisivo collegare tutti i punti, spesso basta riuscire a mettersi d’accordo su quale lasciare scoperto.
Però ogni volta che degli interlocutori sono bloccati sulle loro posizioni (Quello al centro! No, quello in alto a destra!) e fra loro il dissenso si riproduce in eterno, dovrebbe nascere il dubbio. Forse dovrebbero mettere in discussione non ciò che li divìde, ma ciò che li accomuna. L’eventualità di uscire dal quadrato a entrambi sembra ugualmente assurda, si sentirebbero ridicoli e questo “senso del ridicolo” (questa complessa emozione…) “li tiene” dentro la cornice. Questi interlocutori prima o poi arriveranno alla conclusione che non “c’è niente da fare” oppure che “la soluzione va imposta con la forza”. Sono due conclusioni “logiche”, dato il modo in cui hanno impostato il problema. Il rapporto fra logica, ansia e senso del ridicolo è tanto centrale quanto fino a tempi recenti poco indagato.
Anche coloro che questo problema l’hanno risolto hanno inizialmente avvertito questo tipo di ansia e questo senso del ridicolo. Ma hanno gestito l’ansia e interpretato il senso del ridicolo in modo molto diverso. Intanto hanno avuto una maggiore tolleranza nei riguardi dell’ansia, non hanno avvertito una urgenza così forte di liberarsene; sono persone che in qualche modo nella loro vita hanno imparato a convìvere con l’incertezza, l’insensatezza, l’ambiguità, ad affrontare le situazioni paradossali in un atteggiamento di attesa e sospensione del giudizio. (O almeno hanno imparato a gestire in questo modo situazioni di gioco analoghe a questa, perché non è detto che poi uno si comporti cosi anche “nella vita” in situazioni di tensione con la propria ragazza, o con i propri genitori…) Che ne siano consapevoli o no (e di solito non lo sono…) devono avere interpretato questa ansia e quel senso del ridicolo non come segnali di pericolo, ma “di ciò che ci succede quando in situazioni analoghe usciamo da una Gestalt”. In altre parole hanno associato l’ansia non con un atteggiamento difensìvo-aggressivo, ma con un atteggiamento esplorativo.
Un buon consiglio
Ecco un buon consiglio per voi, una piccola preziosa regola che è di grande aiuto per riuscire a rapportarsi a se stessi e al mondo in modo disponibile a un Cambiamento. Quando la adottate vi mettete nel corretto stato d’animo per osservare in modo fenomenologico.
Disegnamo alla lavagna di nuovo i nove punti e chiediamo: “Secondo voi questi punti sono o non sono un quadrato?”.
Silenzio meditativo. Se qualcuno dice”Possono essere visti come un quadrato”, ha capito tutto.
“Sì, sono un quadrato” = il senso è là fuori, l’osservatore deve prenderne atto.
“Possono essere visti come un quadrato” = il senso è attribuito dall’osservatore.
Tutti noi all’inizio di questo esercizio di fenomenologia sperimentale avremmo dato la prima risposta. O almeno avremmo detto: “Sono disposti a quadrato”. Dopo l’esercizio ci sembra più corretto dire “Possono essere visti come un quadrato, ma possono essere visti anche come…” (cosa vi fa venire in mente la figura della soluzione? Una freccia, un aquilone. Va bene.) “anche come parte di una freccia, di un aquilone”.
Allora la regola che vi suggerisco è la seguente: se e quando volete adottare un modo di ascoltare/osservare fenomenologico, eliminate il verbo essere dalle vostre certezze metali. Al limite non dovete pensare: “Questa è una sedia, questo è un tavolo”, ma “Vedo questa come un sedia, vedo questo come un tavolo”. Mi rendo conto che sembra ridicolo, ma aiuta usare fìn dall’inizio un pensiero che non escluda che potremmo vedere le cose anche secondo delle Gestalt diverse. Il predicato “è” esclude, irrigidisce. Invece “Adesso lo vedo così, ma…” ci induce a essere leggeri, flessibili, disponibili all’esplorazione di altri mondi possibili.
La tradizione culturale come Gestalt condivisa
13. Dobbiamo approfondire meglio l’asserzione “II senso è attribuito dall’osservatore”.
Non è molto chiara né di per se stessa, né nelle sue implicazioni. Per esempio: se il senso è una costruzione dell’osservatore perché tutti abbiamo “visto” un quadrato e non chi un quadrato, chi
una farfalla e chi un elefante? La tentazione sarebbe di rispondere: vediamo tutti la stessa figura perché quella figura “è” un quadrato. E cosi ritorneremmo al punto di partenza.
Per capire me.glio possiamo immaginare un Paese esotico, una popolazione della Micronesia nella cui vita sociale abbia molta importanza un sìmbolo religioso di questo tipo:
Figura 4. Figura immaginaria.
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Ebbene, possiamo immaginare che della gente per la quale questo simbolo costituisce parte importante della propria vita, nel guardare i nostri nove punti vi riconosca immediatamente gli “estremi” di questa specifica forma, di questo simbolo, e lo faccia con la stessa unanimità con la quale noi vediamo un quadrato. Per loro vedere un quadrato non sarà “spontaneo”. Però loro forse potrebbero risolvere il problema di collegare tutti i punti a livello di Cambiamento,, perché nel loro caso basterebbe collegare fra loro delle linee già presenti. Non hanno bisogno, come noi, di smontare prima il quadrato per poter costruire un’altra figura.
Allora quando diciamo “il senso è attribuito dall’osservatore”, dobbiamo essere consapevoli che non esistono degli osservatori isolati, che ognuno dì noi è parte di una cultura in senso antropologico e che questa cultura è parte di noi.
Crescendo in una certa comunità, imparando una certa lingua, facciamo nostre complesse gerarchiche di premesse implicite che in quell’ambiente sono date per scontate e che costituiscono il terreno sicuro che ci consente di capirci. Crescere in culture diverse,
imparare lingue diverse vuoi dire acquisire diverse Gestalt, imparare a dare per scontate premesse implicite diverse e a saltare dall’una all’altra. Anche questa è un’esperienza strana, sulla quale ci soffermeremo a lungo.
L’interpretazione
La nostra Gestalt influisce naturalmente sulla nostra interpretazione di qualunque cosa ci circonda.
Ecco un brano brano che facilita l’argomento.
Guardando dalle Mura
“Chi sono io?” chiese un giorno un giovane ad un anziano.
“Quello che sei è in relazione a come pensi. Sei come pensi” rispose l’anziano. “Te lo dimostro con una piccola storia”.
Un giorno, dalle mura di una città, verso il tramonto, si videro sulla linea
dell’orizzonte due persone che si abbracciavano.
“Sono un papà e una mamma” pensò una bambina innocente.
“Sono due amanti”pensò un uomo sensuale.
“Sono due amici che s’incontrano dopo molti anni” pensò un uomo solo.
“Sono due mercanti che hanno concluso un buon affare” pensò un uomo attento al denaro.
“E’ un padre che abbraccia un figlio di ritorno dalla guerra” pensò una
donna dall’animo tenero.
“E’ una figlia che abbraccia un padre di ritorno da un viaggio” pensò un
uomo addolorato per la morte della figlia.
“Sono due innamorati” pensò una ragazza che sognava l’amore.
“Sono due uomini che lottano all’ultimo sangue” pensò un assassino.
“Chissà perché si abbracciano?!” pensò un uomo dal cuore asciutto.
“Che bello vedere due persone che si abbracciano” pensò un uomo di pace.
“Ogni pensiero” conclusel’anziano, “rivela a te stesso quello che sei, esamina di frequente i tuoi
pensieri, ti possono dire molte più cose su di te di qualsiasi maestro”.
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Proprio riflettendo su questo brano, pensavo a quante diverse
interpretazione può essere soggetta una frase da noi detta in modo un pò
vago, secondo l’animo della persona che l’ascolta.
Per questo anche nei nostri scritti bahai si legge:
<<Non tutto ciò che un uomo sa può essere svelato, né tutto ciò che egli può svelare
è da considerarsi opportuno, né ogni parola opportuna può essere reputata adeguata alle capacità di chi ascolta>>. [Spigolature di Baha’u’llah, LXXXIX, § 3].
Infatti chi ascolta potrebbe essere in una situazione tale da non poter interpretare correttamente ciò che viene detto.
Del resto quante barzellette sugli sbagli di interpretazione! E quanti litigi!
Chiudo con una barzelletta sull’argomento:
“Sono stati pubblicati i sondaggi di un recente sondaggio della FAO rivolto
ai governi di tutto il mondo. La domanda era :
“Dite onestamente qual è la vostra opinione sulla scarsità di alimenti nel
resto del mondo;
– gli europei non hanno capito cosa fosse la scarsità
– gli africani non sapevano cosa fossero gli alimenti
– gli americani hanno chiesto il significato del resto del mondo
– i cinesi hanno chiesto maggiori delucidazioni sul significato di opinione
– gli uomini al governo stanno ancora discutendo animatamente su cosa possa significare l’avverbio “onestamente”