ULISSE Inferno canto XXVI (Dante Alighieri)

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Lo maggior corno de la fiamma antica

Lo maggior corno de la fiamma antica
Comincio a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica;

indi la cima qua e là menando,
vieni fosse la lingua che parlasse,
gitto voce di fuori e disse: «Quando

mi diparti ‘ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea la nomasse,

né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre,  ne ‘l debito amore
lo qual dovea Penelope far lieta,

vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i ‘ebbi di divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;

ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Marocco, e l’ isola d’ i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.

Io e ‘compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov ‘Ercule segnò li suoi riguardi

acciò il che l’uom più oltre sI non metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’ altra già m’avea lasciata Setta.

“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver  bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza.

Li miei compagni fec ‘io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;

e volta nostra poppa nel mattino,
de ‘ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.

Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ‘l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.

Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo,

quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto,
ché de la nova terra uno turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com ‘altrui piacque,

infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso ».

NATALE DI GUERRA di Trilussa

Natale di guerra 2 pagineNATALE DE GUERRA  Natale di guerra
Ammalappena che s'è fatto giorno
la prima luce è entrata ne la stalla
e er Bambinello s'è guardato intorno.
" Che freddo, mamma mia! Chi m'aripara?
Che freddo, mamma mia! Chi m'ariscalla?
Fijo, la legna è diventata rara
e costa troppo cara pe’ compralla
 E l'asinello mio dov'è finito?
 Trasporta la mitraja
sur campo de battaja: è requisito.
 Er bove2 Puro quello
fu mannato ar macello.
 Ma li Re Maggi arriveno?
 E' Impossibile
perchè nun c'è la stella che li guida;
la stella nun vò uscì: poco se fida
pe' paura de quarche diriggibbile 
Er Bambinello ha chiesto: Indove stanno
tutti li campagnoli che l'antr'anno
portaveno la robba ne la grottag
Nun c'è neppuro un sacco de polenta,
nemmanco una frocella de ricotta .
- Fijo, li campagnoli stanno in guerra,
tutti ar campo e combatteno. La mano
che seminava er grano
e che serviva pe' vangà la terra
adesso vi è addoprata unicamente
per ammazzú la gente ...
Guarda, laggiù, li lampi
de Ili bombardamentil.
Li senti, Dío ce scampi,
li quattrocentoventi che spaccheno li campi"
Ner di' cosi la Madre der Signore
s’1 è stretta er Fìjo ar core
e s'è asciugata l'occhi co' le fasce.
Un lagrima amara per chi nasce,
una lagrima dórce per chi more ...
poesia di Trilussa disegno di Maria Porrini

[poesia di Trilussa disegno di Maria Porrini]